Dice Gad Lerner (ieri sera a “che tempo che fa”, dialogando con Fabio Fazio) che “il PD ormai si deve fare, se no Fassino e D’Alema perderebbero la faccia”!
Ma chi glielo ha fatto fare ad andare ad Orvieto ed assumere impegni per i 600mila iscritti DS, senza una loro preventiva consultazione?
E’ questo il metodo “democratico” che si intende attuare nel PD?
Perché mettere 600mila iscritti DS di fronte al tragico dilemma se salvare e rilanciare i DS, facendone un partito più democratico e più di sinistra (e così rischiare di “far perdere la faccia” al Segretario ed al Presidente del partito) oppure sciogliere i DS e fare il PD (giusto per evitare che Fassino e D’Alema conservino la faccia)?
Questa tecnica del fatto compiuto è segno di un assurdo e preoccupante autoritarismo che sta cambiando geneticamente i DS e la dice lunga su cosa si intenda per “democrazia”: il ristretto gruppo “dirigente” decide (se no, che gruppo dirigente sarebbe?) e poi “l’intendenza seguirà”!
Abbiamo avuto qualcosa di simile nelle recenti e cosiddette “primarie interne” per la individuazione della candidata alla carica di presidente della Provincia. Un ristrettissimo “gruppo dirigente” (tanto ristretto da rasentare l’oligarchia) decide. Poi si attiva una procedura pseudo-democratica per far “ratificare” la decisione dalla “base”, tanto per dare all’operazione un’apparenza di democraticità.
I DS sono formati da tanti militanti seri, responsabili, che vogliono bene a questo partito, che non farebbero mai niente che ne possa intaccare l’immagine pubblica, ma che vogliono partecipare (cioè discutere e decidere insieme e con metodo democratico) e contare davvero.
I DS sono una comunità umana complessa, il fantastico melting pot di tante culture, storie, tradizioni, vite vissute e spesso sofferte (ma poi, c’è anche dell’altro…).
Hanno elaborato il senso della disciplina e dell’equilibrio, ma anche quello della maturità responsabile.
Hanno radici profonde che a reciderle si provocano o dolorosi (e spesso silenziosi) allontanamenti o battaglie interne sofferte, non volute e che si vorrebbero evitare.
Dunque, mettere i DS di fronte ai fatti compiuti dai quali non ci si può più ritrarre “per non far perdere la faccia” ai loro Dirigenti (pure stimati se non, addirittura, amati) è irresponsabile perchè produce in loro (IN NOI) conflitti e lacerazioni drammatiche tra i sentimenti di appartenenza e di difesa del partito (che una volta si diceva avesse sempre ragione, anche quando sbaglia…) e quelli altrettanto profondi a voler essere una risorsa vera, protagonisti che vogliono ragionare con la propria testa, non soldatini ubbidienti per un malinteso senso di disciplina.
Il compagno Bersani, nei giorni scorsi, ha detto che a questo punto il PD è come un aereo che – sulla pista - ha spinto i motori al massimo: o decolla o si schianta al suolo.
Con tutto l’affetto e la stima per un compagno ed un Ministro tra i più intelligenti, chiedo a Bersani: se fossimo davvero a bordo di un aereo e il Comandante spingesse al massimo i motori pur non essendo sicuro della possibilità di decollare, che cosa penseremmo di lui, dato che mette a rischio, senza motivo, LA VITA sua e nostra?
Se potessi (ma non potrei) chiederei di scendere; non potendo più scendere dovrei “fare figo” e sperare che l’aereo non si schianti, ma una volta tornato a terra chiederei al Comandante di prendersi una pausa, se non proprio di … cambiare mestiere.
Nel nostro caso, la situazione appare (un po’ meno) da incubo. Nel nostro caso, l’aereo può ridurre la sua velocità e fermarsi, se i viaggiatori non vogliono iniziare un viaggio dall’incerto e disastroso esito. Possono definire rotte più sicure e congeniali ai loro desideri.
Mi fermo qui. Dite la vostra, se volete!
Riccardo.
lunedì 26 febbraio 2007
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