FASSINO ADDIO, SVOLTO A SINISTRA Colloquio con Fabio Mussi di Marco Damilano L'Espresso
"Un'impresa comune è sull'orlo della fine". Il capo della minoranza vede vicina la scissione. E già pensa al cantiere di Bertinotti.
Di giorno, il ministro dell'università Fabio Mussi visita atenei, si becca qualche contestazione degli studenti di destra, affronta rettori e professori. Di sera, il candidato alla segreteria Ds Fabio Mussi gira più federazioni possibili, Padova, Mestre, Milano, Follonica, Grosseto, la settimana prossima a Palermo e Bari, impegnato nella battaglia congressuale contro il Partito democratico, probabilmente l'ultima che combatterà sotto le bandiere dei Ds.
Il leader della minoranza non si fa grandi illusioni: "Per ora c'è un voto largo per la mozione Fassino" ammette. La scissione sembra più vicina: "Un'impresa comune è sull'orlo di finire". E per la prima volta Mussi sembra interessato al cantiere che Fausto Bertinotti vorrebbe aprire sulle ceneri della Quercia: "Certe divisioni hanno fatto il loro tempo. Non accetto l'idea che la sinistra possa ridursi a fare la corrente di minoranza di un partito di centro. La sinistra cercherà di rinnovarsi. A prescindere perfino dalle volontà di ciascuno di noi, qualcosa di nuovo nascerà."
Lei sta girando la Penisola in lungo e in largo. Che clima c'è nella base Ds?
Non è certamente quello dell' '89. Eppure stiamo decidendo un salto più grande. Nell' '89 si saltava dal comunismo verso una nuova forma di sinistra, più adeguata ai tempi. Qui, invece, si salta fuori dalla sinistra. L'Italia diventerà l'unico paese europeo senza un grande partito di sinistra che si richiama al socialismo, dovrebbe essere un evento altamente drammatico. E invece vedo in giro un sentimento di rassegnazione. Andiamo verso il Partito democratico con lo stesso spirito di Gigi Proietti nello spot con Consuelo: "Se me lo dicevi prima! Ormai...".
Ormai è fatta?
C'è per ora un voto largo per Fassino, sine ira ac studio, con molte adesioni alla nostra mozione. Ma non ci sono passioni in campo, l'amore che strappa i capelli di cui parla Fabrizio De Andrè in una sua canzone è finito da tempo. Qui è piuttosto l'epoca delle passioni tristi.
Il partito si è indebolito: so che i compagni si infastidiscono quando lo ricordo, ma alle ultime elezioni abbiamo superato di poco il 17 per cento, al netto di Emilia, Toscana, Marche e Umbria in molte zone del paese siamo una forza marginale, sotto il venti per cento in undici regioni.
E in questi anni c'è stata una mutazione dei nostri iscritti. Ci siamo trasformati in un'agenzia per la promozione del ceto politico locale. Siamo bravissimi ad eleggere consiglieri regionali, comunali, nel nominare assessori, presidenti di comunità montane, commissioni...
Anche lei è rassegnato? Il Pd è un processo irreversibile?
Penso di no, mi auguro di no. Sarebbe opportuno fermarlo. Vedo che invece c'è un'accelerazione: si diceva che il Pd sarebbe nato nel 2009, per le elezioni europee, poi si è anticipata la nascita al 2008, ora qualcuno vorrebbe battezzarlo in estate, addirittura. Eppure nessun nodo è stato tagliato.
Qual è il più ingombrante?
Uno grande come una casa: l'identità e la collocazione internazionale del nuovo partito. Fassino dice in giro che il Pd deve stare nel Partito socialista europeo, ma intanto nella sua mozione non c'è scritto. Strano, avevo capito che dalla doppiezza eravamo usciti da un pezzo... I nostri amici della Margherita, invece, ci ripetono tutti i giorni che il Pd non potrà aderire al Pse. Risultato: questo Pd è un partito homeless, alla ricerca di un tetto, una roba che non esiste in Europa.
Qual è l'alternativa? Al congresso di Pesaro il correntone da lei guidato aveva dichiarato la necessità di superare il socialismo europeo. Oggi, invece, lo avete riscoperto come vostro vessillo...
Ero contro il socialismo europeo di stampo blairiano, quello di Anthony Giddens, la terza via, se la ricorda? Siamo partiti da Blair e siamo arrivati al nulla: è il percorso che i Ds hanno fatto dal congresso di Pesaro a oggi.
Non le sembra retrò rispolverare il socialismo europeo nel XXI secolo?
Non accetto le accuse di conservatorismo. Ho portato io l'ambientalismo nel Pci negli anni Settanta, mi guardavano come fossi un marziano. Credo che il socialismo europeo debba rinnovarsi, secondo le suggestioni delle culture critiche, dell'ambientalismo, del femminismo, i movimenti di Seattle e di Genova, i social forum di Porto Alegre e di Nairobi. Ma il Pd ci porta fuori dalla sinistra e indietro, non oltre.
Ce l'ha con il suo collega di governo Francesco Rutelli?
Assolutamente no, lui fa il suo. Però, prendiamo le sue ultime uscite. I Dico: lui dice che non sono una priorità, per la sinistra invece la libertà delle persone dovrebbe essere una questione centrale. E chi vuole una limitazione di questa libertà pone un problema pesante.
Rutelli dichiara che in Francia voterebbe il centrista Bayrou, per i Ds invece la candidata di riferimento è Segolene Royal. E se si va al ballottaggio Sarkozy - Royal, che facciamo?
In una situazione politicamente e intellettualmente ordinata questo dibattito dovrebbe durare sette minuti e amici come prima. Come può stare in piedi un partito così? Qui stiamo spendendo tutte le nostre energie per far diventare Rutelli un po' più socialista e Rutelli le spende per far diventare noi un po' più democristiani: ma perchè tutto questo dispendio energetico?
Facciamo un sogno: al congresso Ds vince la mozione Mussi e il Pd non si fa più. Non sarebbe un cataclisma per il governo Prodi e per il centrosinistra?
Sono un tipo realista. So bene che arrivati a questo punto è l'idea stessa del Pd che produce un terremoto, sia che si faccia sia che non si faccia. Ma tra i due terremoti preferisco quello che ferma il processo.
E se invece, come sembra più probabile, il Pd arriva in porto in tempi rapidi?
Ci sono due novità nel centrosinistra italiano. Una è l'Ulivo, un po' acciaccata: nel '96 c'eravamo tutti tranne Rifondazione, eravamo al 44 per cento, ora siamo rimasti alla fusione Ds-Margherita e al 31.
L'altra novità, la segnalo agli osservatori distratti, è che per la prima volta tutta la sinistra è al governo, tutta. Non è una cosa da poco: nell' '89 la svolta che portò dal Pci al Pds provocò una dolorosa scissione, nel '98 il governo Prodi saltò su un'altra divisione a sinistra, quando Bertinotti uscì dalla maggioranza. Oggi siamo tutti al governo. E' un evento destinato a produrre grandi novità.
Bertinotti ha parlato di "un cantiere che accolga tutti coloro che si dicono di sinistra", un nuovo partito che superi Rifondazione. A lei interessa?
Sì, mi interessa. Il cantiere di cui parla Bertinotti è una discussione che coinvolge anche noi. Siamo tutti insieme al governo. Se la cosa regge e funziona, Turigliatto a parte, certi steccati, certe divisioni possono fare il loro tempo. C'è bisogno di sinistra, di sinistra di governo.
E' l'annuncio di una scissione e di un nuovo partito della sinistra?
Il mio amico Pierluigi Bersani dice che la sinistra esiste in natura, non si può sciogliere. Può darsi che ci saranno polluzioni di sinistra anche nel Pd, perchè no? Ma io non accetto l'idea che la sinistra possa ridursi a fare la corrente di minoranza di un partito di centro. La sinistra cercherà di ritrovarsi. A prescindere perfino dalle volontà di ciascuno di noi, qualcosa di nuovo nascerà.
Andrea Romano nel suo libro "Compagni di scuola" scrive che il gruppo dirigente dei Ds di cui lei fa parte è "una famiglia cui si appartiene una volta per sempre..."
Non è un libro piacevole. Non mi piacciono i famigli che raccontano i principi che hanno servito. Non mi piace lo sprezzo che usa verso D'Alema che arriva da non so quanto giustificata presunzione. Andrea Romano non sa di cosa parla.
Ma lei sta per divorziare dalla sua famiglia?
Faccio parte di un gruppo che ha cominciato a fare politica intorno al 1968, a vent'anni, e che portò nel Pci una ventata di novità e di antagonismo. Mi trovai, giovanissimo, a votare contro la radiazione del gruppo del "Manifesto" nel comitato centrale. Allora veniva promosso il coraggio, oggi vengono premiati i giovani conformisti. E poi ci sono stati gli anni Settanta, l'avanzata del Pci, la morte di Berlinguer, fino ad arrivare al crollo del muro di Berlino e alla fine del comunismo internazionale. In segreteria con Occhetto c'eravamo io, D'Alema, Fassino, Veltroni, Bassolino, Livia Turco, Petruccioli. Eravamo tutti tra i 35 e i 45 anni, Walter era il più giovane. Ci trovammo di fronte a un evento storico enorme, con il Pci al 27 per cento e 800 mila iscritti: decidemmo di scioglierlo. Si è cementata allora una solidarietà politica e umana che ha superato prove difficili. poi, abbiamo preso strade diverse.
E oggi, Mussi, siamo vicini alla separazione finale?
E' una rottura. Un'impresa comune è sull'orlo di finire, questo sì. E qualche volta, quando ci penso, ho bisogno di respirare lentamente.
"Un'impresa comune è sull'orlo della fine". Il capo della minoranza vede vicina la scissione. E già pensa al cantiere di Bertinotti.
Di giorno, il ministro dell'università Fabio Mussi visita atenei, si becca qualche contestazione degli studenti di destra, affronta rettori e professori. Di sera, il candidato alla segreteria Ds Fabio Mussi gira più federazioni possibili, Padova, Mestre, Milano, Follonica, Grosseto, la settimana prossima a Palermo e Bari, impegnato nella battaglia congressuale contro il Partito democratico, probabilmente l'ultima che combatterà sotto le bandiere dei Ds.
Il leader della minoranza non si fa grandi illusioni: "Per ora c'è un voto largo per la mozione Fassino" ammette. La scissione sembra più vicina: "Un'impresa comune è sull'orlo di finire". E per la prima volta Mussi sembra interessato al cantiere che Fausto Bertinotti vorrebbe aprire sulle ceneri della Quercia: "Certe divisioni hanno fatto il loro tempo. Non accetto l'idea che la sinistra possa ridursi a fare la corrente di minoranza di un partito di centro. La sinistra cercherà di rinnovarsi. A prescindere perfino dalle volontà di ciascuno di noi, qualcosa di nuovo nascerà."
Lei sta girando la Penisola in lungo e in largo. Che clima c'è nella base Ds?
Non è certamente quello dell' '89. Eppure stiamo decidendo un salto più grande. Nell' '89 si saltava dal comunismo verso una nuova forma di sinistra, più adeguata ai tempi. Qui, invece, si salta fuori dalla sinistra. L'Italia diventerà l'unico paese europeo senza un grande partito di sinistra che si richiama al socialismo, dovrebbe essere un evento altamente drammatico. E invece vedo in giro un sentimento di rassegnazione. Andiamo verso il Partito democratico con lo stesso spirito di Gigi Proietti nello spot con Consuelo: "Se me lo dicevi prima! Ormai...".
Ormai è fatta?
C'è per ora un voto largo per Fassino, sine ira ac studio, con molte adesioni alla nostra mozione. Ma non ci sono passioni in campo, l'amore che strappa i capelli di cui parla Fabrizio De Andrè in una sua canzone è finito da tempo. Qui è piuttosto l'epoca delle passioni tristi.
Il partito si è indebolito: so che i compagni si infastidiscono quando lo ricordo, ma alle ultime elezioni abbiamo superato di poco il 17 per cento, al netto di Emilia, Toscana, Marche e Umbria in molte zone del paese siamo una forza marginale, sotto il venti per cento in undici regioni.
E in questi anni c'è stata una mutazione dei nostri iscritti. Ci siamo trasformati in un'agenzia per la promozione del ceto politico locale. Siamo bravissimi ad eleggere consiglieri regionali, comunali, nel nominare assessori, presidenti di comunità montane, commissioni...
Anche lei è rassegnato? Il Pd è un processo irreversibile?
Penso di no, mi auguro di no. Sarebbe opportuno fermarlo. Vedo che invece c'è un'accelerazione: si diceva che il Pd sarebbe nato nel 2009, per le elezioni europee, poi si è anticipata la nascita al 2008, ora qualcuno vorrebbe battezzarlo in estate, addirittura. Eppure nessun nodo è stato tagliato.
Qual è il più ingombrante?
Uno grande come una casa: l'identità e la collocazione internazionale del nuovo partito. Fassino dice in giro che il Pd deve stare nel Partito socialista europeo, ma intanto nella sua mozione non c'è scritto. Strano, avevo capito che dalla doppiezza eravamo usciti da un pezzo... I nostri amici della Margherita, invece, ci ripetono tutti i giorni che il Pd non potrà aderire al Pse. Risultato: questo Pd è un partito homeless, alla ricerca di un tetto, una roba che non esiste in Europa.
Qual è l'alternativa? Al congresso di Pesaro il correntone da lei guidato aveva dichiarato la necessità di superare il socialismo europeo. Oggi, invece, lo avete riscoperto come vostro vessillo...
Ero contro il socialismo europeo di stampo blairiano, quello di Anthony Giddens, la terza via, se la ricorda? Siamo partiti da Blair e siamo arrivati al nulla: è il percorso che i Ds hanno fatto dal congresso di Pesaro a oggi.
Non le sembra retrò rispolverare il socialismo europeo nel XXI secolo?
Non accetto le accuse di conservatorismo. Ho portato io l'ambientalismo nel Pci negli anni Settanta, mi guardavano come fossi un marziano. Credo che il socialismo europeo debba rinnovarsi, secondo le suggestioni delle culture critiche, dell'ambientalismo, del femminismo, i movimenti di Seattle e di Genova, i social forum di Porto Alegre e di Nairobi. Ma il Pd ci porta fuori dalla sinistra e indietro, non oltre.
Ce l'ha con il suo collega di governo Francesco Rutelli?
Assolutamente no, lui fa il suo. Però, prendiamo le sue ultime uscite. I Dico: lui dice che non sono una priorità, per la sinistra invece la libertà delle persone dovrebbe essere una questione centrale. E chi vuole una limitazione di questa libertà pone un problema pesante.
Rutelli dichiara che in Francia voterebbe il centrista Bayrou, per i Ds invece la candidata di riferimento è Segolene Royal. E se si va al ballottaggio Sarkozy - Royal, che facciamo?
In una situazione politicamente e intellettualmente ordinata questo dibattito dovrebbe durare sette minuti e amici come prima. Come può stare in piedi un partito così? Qui stiamo spendendo tutte le nostre energie per far diventare Rutelli un po' più socialista e Rutelli le spende per far diventare noi un po' più democristiani: ma perchè tutto questo dispendio energetico?
Facciamo un sogno: al congresso Ds vince la mozione Mussi e il Pd non si fa più. Non sarebbe un cataclisma per il governo Prodi e per il centrosinistra?
Sono un tipo realista. So bene che arrivati a questo punto è l'idea stessa del Pd che produce un terremoto, sia che si faccia sia che non si faccia. Ma tra i due terremoti preferisco quello che ferma il processo.
E se invece, come sembra più probabile, il Pd arriva in porto in tempi rapidi?
Ci sono due novità nel centrosinistra italiano. Una è l'Ulivo, un po' acciaccata: nel '96 c'eravamo tutti tranne Rifondazione, eravamo al 44 per cento, ora siamo rimasti alla fusione Ds-Margherita e al 31.
L'altra novità, la segnalo agli osservatori distratti, è che per la prima volta tutta la sinistra è al governo, tutta. Non è una cosa da poco: nell' '89 la svolta che portò dal Pci al Pds provocò una dolorosa scissione, nel '98 il governo Prodi saltò su un'altra divisione a sinistra, quando Bertinotti uscì dalla maggioranza. Oggi siamo tutti al governo. E' un evento destinato a produrre grandi novità.
Bertinotti ha parlato di "un cantiere che accolga tutti coloro che si dicono di sinistra", un nuovo partito che superi Rifondazione. A lei interessa?
Sì, mi interessa. Il cantiere di cui parla Bertinotti è una discussione che coinvolge anche noi. Siamo tutti insieme al governo. Se la cosa regge e funziona, Turigliatto a parte, certi steccati, certe divisioni possono fare il loro tempo. C'è bisogno di sinistra, di sinistra di governo.
E' l'annuncio di una scissione e di un nuovo partito della sinistra?
Il mio amico Pierluigi Bersani dice che la sinistra esiste in natura, non si può sciogliere. Può darsi che ci saranno polluzioni di sinistra anche nel Pd, perchè no? Ma io non accetto l'idea che la sinistra possa ridursi a fare la corrente di minoranza di un partito di centro. La sinistra cercherà di ritrovarsi. A prescindere perfino dalle volontà di ciascuno di noi, qualcosa di nuovo nascerà.
Andrea Romano nel suo libro "Compagni di scuola" scrive che il gruppo dirigente dei Ds di cui lei fa parte è "una famiglia cui si appartiene una volta per sempre..."
Non è un libro piacevole. Non mi piacciono i famigli che raccontano i principi che hanno servito. Non mi piace lo sprezzo che usa verso D'Alema che arriva da non so quanto giustificata presunzione. Andrea Romano non sa di cosa parla.
Ma lei sta per divorziare dalla sua famiglia?
Faccio parte di un gruppo che ha cominciato a fare politica intorno al 1968, a vent'anni, e che portò nel Pci una ventata di novità e di antagonismo. Mi trovai, giovanissimo, a votare contro la radiazione del gruppo del "Manifesto" nel comitato centrale. Allora veniva promosso il coraggio, oggi vengono premiati i giovani conformisti. E poi ci sono stati gli anni Settanta, l'avanzata del Pci, la morte di Berlinguer, fino ad arrivare al crollo del muro di Berlino e alla fine del comunismo internazionale. In segreteria con Occhetto c'eravamo io, D'Alema, Fassino, Veltroni, Bassolino, Livia Turco, Petruccioli. Eravamo tutti tra i 35 e i 45 anni, Walter era il più giovane. Ci trovammo di fronte a un evento storico enorme, con il Pci al 27 per cento e 800 mila iscritti: decidemmo di scioglierlo. Si è cementata allora una solidarietà politica e umana che ha superato prove difficili. poi, abbiamo preso strade diverse.
E oggi, Mussi, siamo vicini alla separazione finale?
E' una rottura. Un'impresa comune è sull'orlo di finire, questo sì. E qualche volta, quando ci penso, ho bisogno di respirare lentamente.
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